Cinema in Circolo: Eldorado

Il Circolo del Cinema propone in streaming esclusivo per i Soci il Eldorado di Markus Imhoof (Svizzera, Germania, 2018 – 92′), presentato alla Berlinale, dove è stato segnalato con l’Amnesty International Film Prize.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia di Markus Imhoof ospita Giovanna, una bambina italiana rifugiata in Svizzera. Da qui comincia un viaggio tra i ricordi d’infanzia, quando gli immigrati non voluti erano gli Italiani e l’oggi. Tra le coste libiche, quelle del sud Italia e tutto il mare che c’è in mezzo, i nuovi esclusi provano a entrare nel “nostro Eldorado”.

Il documentario di Markus Imhoof è stato premiato anche al Palm Springs International Film Festival e ai Bavarian Film Awards per l’originalità con cui tratta tematiche di stringente attualità.

☞ L’approfondimento di Osservatorio Diritti!

Eldorado sarà disponibile in streaming dal 11 al 14 giugno 2020.

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Note di regia

I paesi stranieri hanno sempre avuto un ruolo significativo nella mia famiglia: mio padre ha scritto la sua tesi di dottorato sui migranti europei, mia madre è nata in India, una delle mia zie viene da Odessa, l’altra ha vissuto in Egitto, mio zio ha vissuto in Colombia, un altro negli Stati Uniti. Durante la mia infanzia una mappa dell’Africa era appesa sopra il mio letto con una vera lancia che puntava al “cuore oscuro”.
Nel 1945 Giovanna arrivò dall’Italia in una Svizzera risparmiata dalla guerra. Fu all’incirca in quel periodo che scoprii che tutti usano “io”, quando parlano di loro stessi. Mi sono innamorato di questo “io” straniero. Questo ha formato la mia vita in modo decisivo.
Durante quel periodo la Svizzera cominciò ad utilizzare l’espressione “i rifugiati per ragioni puramente razziali non contano come rifugiati”, perché molti ricadevano in questa categoria. 24000 persone furono rimandate indietro con questa ragione.
Nel 1980 ho girato il film “La barca è piena”, proprio su questi eventi: la storia di un gruppo di rifugiati rimandati indietro a morte certa.
Per il ruolo della ragazza rifugiata Kitty ho cercato una ragazza che assomigliasse a Giovanna.
Come risultato diretto della seconda guerra mondiale, la discriminazione razziale oggi è riconosciuta come motivo di asilo nella Convenzione di Ginevra.
Uno dei principi cardine delle politiche odierne è “i rifugiati per motivi economici non contano come rifugiati”. Moltissimi ricadono in questa categoria e la barca oggi è di nuovo piena.
35 anni fa non avrei mai pensato che il titolo del mio film sarebbe diventato così concreto e d’attualità da costringermi a girare un altro film sull’argomento.
Ho dunque cominciato a lavorare su due progetti: uno sulla migrazione e uno sui soldi. Facendo le ricerche ho scoperto quanto fossero strettamente collegati tra loro: la tematica dell’immigrazione non può essere indipendente dalla questione economica.
Ognuno di noi porta un pezzo di Congo nelle proprie tasche, l’80% di coltan e cobalto viene portato alla luce nelle loro miniere, ma i profitti di commerciali di queste materie prime rimangono in Svizzera.
L’accordo europeo per il commercio con l’Africa per l’importazione esentasse dei nostri prodotti agricoli falsa tutto: i contadini africani non possono competere con noi.
La globalizzazione ha esportato il proletariato ed è diventata una colonizzazione economica: soldi, persone ricche e beni viaggiano globalmente; i poveri devono rimanere al loro posto.
Le aree di alta e bassa pressione economica distribuite in tutto il mondo sono le precondizioni per la produzione più economica possibile del flusso di merci.
Abbiamo bisogno della parte più povera del mondo per il nostro dinamismo economico.
Le persone che richiedono asilo sono il risultato di questa dinamica. La nostra fortuna li attrae. Ma disturbano l’incremento del benessere e la crescita economica. Per questo motivo nascono le leggi contro l’immigrazione in Europa. A partire dal 2000 più di 30.000 persone sono annegate durante la loro fuga: un mare di cadaveri. Le vite umane sono un danno collaterale per il benessere e il perseguimento della nostra felicità.
La crisi non è finita, è appena iniziata. Presto arriveranno anche i migranti legati alla questione dei cambiamenti climatici.
Il ricordo di Giovanna mi dà il radicalismo del punto di vista di un bambino, in fruttuoso contrasto con i meccanismi internazionali che gestiscono gli stranieri.
Non era mai stato così difficile ottenere i permessi per girare un film. C’è sempre “qualcosa” dietro quando ci si applica con zelo a nascondere.
La nostra sfida è stata quella di rendere visibile l’invisibile.
Le cose fondamentali sono spesso tradite da un dettaglio, uno sguardo, una risata. La somma delle cose irrilevanti a volte mostra l’essenziale.
Nel suo nucleo centrale questa storia è sul conflitto tra “io” e “noi”, sul contrasto
o l’interazione tra molte cose differenti in un una sola. Come in un’orchestra, in cui non è la tromba che domina su tutto, ma possiamo comunque sentire la viola e il flauto. Si tratta di sperare in un equilibrio, che il Nord e il Sud convivano come un organismo che non si sfrutta in modo permanente e quindi non distrugge se stesso.
Tutti chiamano se stessi “io”. Questo può portare ad una guerra o all’inizio di una storia d’amore.
All’entrata di un laboratorio di sartoria gestito da donne rifugiate sono state appese citazioni da “Alice nel paese delle meraviglie”: “È inutile che ci provi”, disse Alice; “non si può credere a una cosa impossibile”. “Oserei dire che non ti sei allenata molto”, rispose la Regina. “Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.”